#229 -Miss Kittin & The Hacker: album da amare o odiare

Nell’estate del 2007 uscì “Hometown EP” (leggi Electronic Diary #156) che fece ben sperare nel ritorno della coppia divenuta, anni fa, l’icona dell’electroclash. A quasi due anni però ci ritroviamo a discutere se i due sono davvero dei fenomeni o semplicemente il frutto della fortuna unita alla spropositata enfatizzazione dei media. Certo, nel 1998 Caroline Hervé e Michel Amato avevano davvero qualcosa da dire e il loro tentativo di ridare linfa vitale ad un’allora smorta scena electro-pop era solo da premiare. Ma poi la sensazione che si è avuta è che la loro creatività sia stata inversamente proporzionale al tempo che è passato. Nel 2004 decidono di sospendere la collaborazione per continuare come solisti: la Kittin diviene una pseudo-star, in perenne girovagare per i clubs di tutto il mondo, ma il suo talento dietro la consolle è stato messo in forse più di una volta, come del resto la sua capacità di armeggiare in studio. Amato invece rimane nell’underground, incidendo prima un eccellente album (“Reves Mecaniques”, del 2004) e poi altri singoli dal successo altalenante. Alla fine tornano insieme, con l’intenzione di riprendere il discorso lì dove l’avevano lasciato in sospeso (o interrotto?) nel 2003, sul successo mondiale del “First Album”. Il risultato, però, ha l’effetto di una fialetta puzzolente. “Two” si apre con “1000 Dreams”, di cui si evidenzia la carineria melodica figlia di quel che fu già fatto in passato. Il brano è il secondo ad essere estratto, dopo “PPPO”, e il suo remix viene affidato al giovane Maxime Dangles, tra i nuovi talenti della scena francese. Poi “The Womb”, electro graffiata dalla voce della Hervé, sulla scia della recente “Dimanche”, “Party In My Head” dalle referenze legoweltiane nella scelta dei suoni, e “Suspicious Minds”, cover del classico di Elvis Presley ricostruita con suoni alla Perspects ed una voce fin troppo pop. Il tracciato va avanti, con “Electronic City” e “Ray Ban” in cui la mano di Amato si sente distintamente grazie ad una electro vintage tinta di scuro e poi illuminata di colpo da aperture trance, “Inutile Éternité”, una sorta di “L’Homme Dans L’Ombre” rimessa a nuovo, ed “Indulgence”, la nota electro-punk in stile Chicks On Speed. Tirando le somme “Two” potrebbe sembrare piacevole, ma solo per chi non ha vissuto a pieno le emozioni del “First Album”. All’orizzonte non c’è praticamente nulla di nuovo, se non la sterile riproduzione delle idee un tempo folgoranti. Sul doppio vinile non figura “PPPO”, relegata solo alla versione in cd. Per fortuna verrebbe da dire.

-Giorgio Gigli “Magnetic Field EP” (Prologue): tra gli assoluti anticipatori e pionieri italiani di quel fermento stilistico entrato nell’orbita europea della ‘neo minimal’, Giorgio Gigli continua ad alimentare positivamente la sua reputazione. Dopo essere apparso su etichette di spicco quali Mental Groove, Wagon Repair e Dumb-Unit (ma anche su Elettronica Romana, punto fermo di uno stile personale ed indipendente dalle mode), approda alla Prologue di Tom Bonaty con un extended play che conserva e preserva il suo minimalismo d’avanguardia. Sia “Tempo” che “Spazio” infatti appaiono subito come flussi magnetici sui quali insistono oscillazioni isocrone del ritmo. Il romano sonda itinerari ancestrali, con la consapevolezza di chi conosce a fondo il significato di ‘minimale’, producendo per un ‘credo’ e non per un ‘devo’. Ed oggi, credetemi, è cosa rara.

-Capitan Commodore “Express” (International Deejay Gigolo): seconda prova su Gigolo per Mariusz Socha alias Capitan Commodore, il polacco entrato nelle grazie di Hell con uno stile che mette in correlazione house, techno ed electro anni novanta. Il cocktail sonoro si rivela subito nella title-track, “Express”, scelta anche per la nuova Gigolo Compilation. A pulsare sono techno rotatoria e synths distorti abbinati a lampi di luci spettrali. Gli ingredienti di “Don’t Stop” invece arrivano dall’electro-funk degli ottanta, naturalmente rivista e corretta per i tempi moderni attraverso un sample vocale, giocato sulle intonazioni, che fa da collante. Ultima, per ordine di apparizione, è “Cortical Systematics”, in cui l’artista ricalca l’electro-dance a cui la label di Hell deve gran parte della sua popolarità. Anche in questo caso le referenze 90s sono palesi, soprattutto in un accattivante bassline che tende a rammentare frammenti di eurobeat (Culture Beat).

-Remute “Grand Glam” (Remute): Denis Karimani è uno che di strada ne ha fatta tanta, e in un tempo relativamente breve. Ciò lo deve, probabilmente, alla capacità innata di adattarsi alle situazioni pur non alterando il suo ego identificativo e non ripudiando le origini, immerse nella più spassionata electro-techno. In “Grand Glam”, secondo full giunto a tre anni da “Remute”, ciò è molto evidente. Tutto il brio che, dall’anno del suo debutto, il 2002, si è rincorso in un numero corposo di produzioni, qui è sviscerato nella migliore delle maniere prendendo grosse distanze dagli esperimenti più modaioli apparsi su Einmaleins Musik e Liebe*detail. Attorniato dalle sue macchine preferite (hardware, non software), il producer di Amburgo preferisce i beats grassi e i synths distorti alle stesure narcolettiche. Apre in modo meditativo e filosofico, con “Does Time Really Exist, If The Past Has Already Happened, The Present Instantly Becomes The Past And The Future Did Not Happen Yet?”, e poi prosegue senza indugi sui collages funky-house di “Sling It!” e “Shiveroid”. Proprio il funk risulta essere uno dei componenti fondamentali di “Grand Glam”, oltre all’electro che sposa la techno più ruvida e rotolante, spezzettata da filtri che fungono da breaks. In alcuni punti sembra di riassaporare la techno-funky nipponica, tipica di artisti come Kagami e Tasaka, poco battuta negli ultimi anni poichè soppiantata da altre correnti musicali. Spazio anche a vari edits di brani già noti, come “Ouahahaha”, “Mess Hypnosis”, “Condensated” e “Zuendli”, in cui esplodono elementi della techno anni novanta, effetti grattugiati ed una linea meccanica che si rifà allo stile Beroshima. Karimani fa gracchiare i beats in “Slime Fast”, gioca i patterns come se fossero elementi ludici in “Medea Glub” e “Teko”, agita i suoni retro in “Joking About Death” e “Lampuca For Everyone” ricreando gli stimoli un tempo descritti come tesko (punto di sutura tra techno e disko). “Needful Dive Course”, annegato in evoluzioni ambient, è la chiusura di un lavoro che mira fondamentalmente a far ballare, elaborando e collimando ritmo ed effetti in un puzzle di deflagrante energia.

-Fancyman “Charmeur Infâmement” (Black Montanas): hanno impegato ben 6 anni per tornare ma l’attesa è ben ripagata. Sono i Fancyman (duo tedesco formato da Stephan Busche -Polygamy Boys, Illuminé Concrète- e Kai Lillich) che registrarono il loro esordio nell’estate del 2003 sulla label di Savas Pascalidis, la Lasergun, attraverso l'”Amico EP” avvalorato dall’eccellente remix di Legowelt & Orgue Electronique, andato a finire anche in uno dei tanti cd targati International Deejay Gigolo. Il progetto che ora li rilancia, edito dall’americana Black Montanas esclusivamente in formato digitale, è pregno di electro sintetica, suonata dal vivo in “1979” coi giri arpeggiati di synths intrecciati tra loro, e stesa su atmosfere più sinistre e gotiche in “Ghost” (soprattutto nella Mystery Mix). I classici ritmi di vecchie drum-machines riecheggiano anche in “Robot Invasion”, un titolo piuttosto sfruttato da chi è solito avventurarsi nell’electro più plastica ed ispirata dalla fantascienza, dove si ha modo di apprezzare anche spirali industrial ed ebm.

-Mark Du Mosch “Overload EP” (SD Records): la label dei Syncom Data non si lascia sfiduciare dalla crisi fonografica e si appresta ad immettere sul mercato la sua quattordicesima release, naturalmente in vinile. Trattasi dell’EP dell’olandese Mark Du Mosch, un nome sconosciuto all’overground ma che gli appassionati del mercato più settoriale hanno già apprezzato in una manciata di fugaci apparizioni (Keynote, Moustache). Prelevando elementi dalla techno, dall’house e dall’electro, il dj-producer crea un progetto che accontenterà sia gli irriducibili della melodia che gli amanti del ritmo. In “Overload” si scorgono le linee meccaniche della classica electro olandese, persa tra stroboscopici riffs di tastiera giocati sulle ottave, mentre “In The Clouds” e “Summer Breeze” cavalcano sentieri più deep e malinconici. Infine, chi cerca l’appiglio techno troverà in “Genesis” pane per i suoi denti.

-Terence Fixmer “Fiction Fiction” (From Jupiter Recordings): si è già detto molto sul Fixmer come iniziatore del movimento nu ebm, così come del Fixmer capace di imporsi sia nella techno che nell’alternative-rock (grazie alla collaborazione con Douglas McCarthy dei Nitzer Ebb). Ora è giunto il momento di parlare però del Fixmer più camaleontico, pronto a sacrificare le sue origini di chiara natura industrial per approcciare ad uno stile che ben poco divide col suo passato. Qualche avvisaglia l’avevamo già avuta tra 2007 e 2008, con un paio di EP che lasciarono di sasso i fans più accaniti, ma ora la svolta ha un nome: “Fiction Fiction”, in cui il producer transalpino pare aver perso la voglia di far esplodere il soundsystem con le distorsioni, un tempo tassello fondamentale dei suoi brani. E’ l’album (il terzo da solista, dopo il combattivo “Muscle Machine” del 2001 e il tranceggiante “Silence Control” del 2006) che impone una mutazione radicale al suo stile, e ciò lo si capisce più che bene ascoltando “Hypnose”, “River” e “Frozen Tears”, tutte allineate allo stile dell’attuale scuola berlinese della tech-house minimalizzata. Fixmer imbraccia tonalità decisamente deep, ma più connesse alla house che alla techno e “The Fog”, “Ghost In Love” e “Can’t You See Me” sono i frutti della sua ‘conversione’. Influssi ebm e trance se ne ritrovano ben pochi, dosati col contagocce in “Fantomatic”. Scavato nelle tenebre, lì dove il producer di Lille iniziò la sua carriera nella seconda metà degli anni novanta, è l’outro “Fiction Out”. Il doppio vinile si presenta in una edizione limitata alle 300 copie, in cui ognuna è fregiata dall’autografo dell’autore.

-Kid 606 “Shout At The Döner” (Tigerbeat6/Very Friendly): provate, per un solo istante, ad immaginare un mix tra LFO, Aphex Twin, Green Velvet, Mouse On Mars, The Prodigy, Mr. Oizo e Giorgio Moroder: cosa otterreste? Un miscuglio senza senso e ritegno? Forse. Eppure Miguel Manuel De Pedro, arcinoto negli angusti anfratti dell’underground internazionale come Kid 606, riesce (ancora) lì dove l’impresa sembra impossibile. Lo stile dell’estrosissimo venezuelano, che all’interno consuma le passioni per il satanismo e per ritmi compulsivi e solo in apparenza disordinati, fornisce un nuovo risultato che va ad impreziosire un curriculum discografico di tutto rispetto, aperto oltre dieci anni fa. In “Shout At The Döner” c’è tutto quel mondo che De Pedro ha fatto suo sin dalle prime timide apparizioni in cui si registrò la coesione tra noize, electro, experimental e gabber: dall’IDM più concettualoide alla techno-punk, dal rave alla metal-house. 17 le tracce, tenute in vita da ritmi febbricitanti, questa volta più vicini a quel che in gergo viene definito ‘dance’, e da picchi di suono putrido, selvaggio, grattato, che si burla di quel che solitamente figura nelle charts dei big dj’s.

Electric easter

DJ GIO MC-505

Giosuè Impellizzeri

Giornalista musicale, consulente per eventi, reporter per festival internazionali, produttore discografico, A&R e promoter per una label, autore della colonna sonora di un videogame, autore di un libro dedicato alla Dance anni Novanta, selezionatore e redattore di shows radiofonici, Dottore in Beni Culturali: tutto in uno. Giosuè Impellizzeri da un lato, DJ Gio MC-505 dall'altro. Le prime recensioni appaiono su una fanzine, nel 1996. Dopo quattro anni inizia il viaggio che si sviluppa su testate cartacee e sul web (TheDanceWeb, Cubase, Trend Discotec, DiscoiD, Radio Italia Network, TechnoDisco, Jay Culture, Soundz, Disc-Jockey.it, Basebog, La Nuit, Jocks Mag, AmPm Magazine). Ogni anno dà vita ad oltre seicento pubblicazioni, tra articoli, recensioni ed interviste realizzate in ogni angolo del pianeta. Tutto ciò gli vale la nomina, da parte di altri esponenti del settore, di 'techno giornalista', rientrando tra i pionieri italiani del giornalismo musicale sul web. Nel 2002 fa ingresso nel circolo dei DJs che si esibiscono in Orgasmatron, contenitore musicale di Radio Italia Network, proponendo per primo in un network italiano appartenente alla fascia del mainstream un certo tipo di Electro, imparentata con la Disco, il Synth Pop e la Techno. Nel medesimo periodo conduce, per la stessa emittente e in particolare per il programma di Tony H e Lady Helena, la rubrica TGH in veste di inviato speciale alla ricerca di novità musicali provenienti da tutto il mondo. Per quel che concerne la sfera della produzione discografica, dopo le demo tracks realizzate nella seconda metà degli anni Novanta, incide il primo EP tra 2001 e 2002, "Android's Society", che contiene "Commodore Generation", remixata dai finlandesi Ural 13 Diktators, finita nella top-ten dei più suonati sulle passerelle di moda milanesi e supportata da nomi importanti tra cui Tampopo, David Carretta, Vitalic, Capri, DJ Hell e Romina Cohn. La storia continua con altre esperienze, vissute prima tra le mura della H*Plus di Tony H ("Tameshi Wari EP" e "Superstar Heroes EP") e poi tra le fila delle tedesche Vokuhila ("Engel Und Teufel EP", con "El Diablero" remixato dagli Hong Kong Counterfeit e Maxx Klaxon), 38db Tonsportgruppe ("Borneo EP", col remix Electro Disco di Chris Kalera) e della slovena Fargo (col rombante "Technomotor EP"). Dal 2005 al 2008 affianca Francesco Passantino e Francesco Zappalà nella conduzione della Tractorecords e della Laboraudio, digital-label concepita come laboratorio di musica finalizzata alla valorizzazione di artisti appartenenti al sottobosco creativo. Poi collabora col bolognese Wawashi DJ (oggi nel chiacchierato progetto Hard Ton) per "Gary Gay", si lascia remixare dallo svedese Joel 'Jor-El' Alter ("Stroboscopic Life"), partecipa al "The Church Of Pippi Langstrumpf" su Dischi Bellini e viene invitato dall'etichetta berlinese Das Drehmoment a prendere parte al progetto "Rückwärts Im Uhrzeigersinn" insieme ad altri artisti di spessore internazionale tra cui Kalson, Replicant, Makina Girgir, Starcluster e Polygamy Boys. Nel 2010, dopo nuove esperienze discografiche ("Gaucho", su Disco Volante Recordings, coi remix di Gabe Catanzaro, Hard Ton, Valyom & Karada, Midnight Express e Bangkok Impact, e "The World In A Pocket EP", su Prodamkey/Analog Dust, avvalorato dalle versioni di -=UHU=-, Alek Stark, Downrocks, Snuff Crew, Gesloten Cirkel e Metacid), diventa free lance per DJ Mag Italia, versione italiana della celeberrima testata editoriale inglese dedicata alla musica elettronica e alla DJculture. In parallelo fonda, con l'amico Mr. Technium, la Sauroid, etichetta che si propone come punto di raccordo e diffusione di diversi stili tra cui Acid House, Italo Disco, Electro, Nu Rave e Chiptune.

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