INTERVISTA AD ALEXANDER ROBOTNICK di Fabrizio Gattuso – 13/04/2K5


Maurizio Dami in arte Alexander Robotnick è uno degli artisti italiani più conosciuti in tutto il mondo. Si rietiene che la sua “Problèmes d’amour”, rilasciata nel lontano 1983, abbia spianato la strada della tanto amata odiata italo-disco. La sua attività creativa è resistita fino ai nostri giorni dove ha visto un suo ritorno all’electro, infatti dischi come “Les grands voyages de l’amour” stampato su Hotbanana e la sua strepitosa compilation “The disco-tech of… Alexander Robotnick” sono considerati pezzi forti di questo genere. Nel 2000, inoltre, da vita all’Hot elephant sua etichetta personale, qui lo scorso febbraio ha visto la luce “Under construction” di Italcimenti, progetto prodotto in collaborazione con Ludus Pinsky.Ciao Alex e benvenuto sulle pagine di technodisco.it….partiamo dal passato, tu sei uno di quegli artisti che appartiene a più di una generazione…ci vuoi raccontare i tuoi esordi? Come è cominciato tutto?

Come hai intuito la mia cultura musicale viene dagli anni 60. Comunque con la musica mi sono cimentato molto tardi. E’ stato un po’ il modo di salvarmi dalla crisi della fine dei ’70.
Una specie di rifugio che poi inaspettatamente è diventato una professione.
Ho cominciato andando a scuola di chitarra jazz e suonando in un quintetto di “allievi”.
Nell’80 sono stato catturato dalla New Wave, sia nei suoi aspetti rock che in quelli elettronici.
All’inizio mi sono dedicato ad un progetto di dance-cabaret chiamato Avida, cantato in Italiano, fra il demenziale e il futuristico.
Poi l’elettronica ha preso definitivamente il sopravvento sulla chitarra ed è nato Alexander Robotnick. Problèmes d’amour fu il tentativo di un brano disco commerciale, ma il risultato fu diverso, divenne un cult che ha resistito nel tempo.

Gli anni 80 sono stati sicuramente uno dei decenni più belli per la musica….cosa ti manca? Hai rimpianti?

Eh…alla mia mezza età è molto difficile capire se i rimpianti ci sono perchè tutto è peggio o semplicemente perchè sei più vecchio. Quindi su cosa mi manca sono sempre dubbioso. Forse mi manca il senso di realtà delle cose. Ora mi sembra tutto finto. Come se ciascuno vivesse in un sogno, o meglio in un sistema di pensiero presettato. Una specie di pacchetto completo, chiavi in mano. Diversi pacchetti, diversi stli di vita, di musica ma sempre pacchetti, niente di veramente reale.

Torniamo al presente…in questo momento come definisci il tuo stile?

Intendi come DJ? Quando me lo chiedono rispondo che suono electro. Magari aggiungo electro-disco, electro-techno, italo-disco. Ho fatto ascoltare un DJ-Set a un promoter fiorentino e lui mi ha detto «Anche noi suoniamo questi brani», ma alla mia precedente domanda su cosa suonavano i suoi DJs lui mi aveva risposto “house”. Quindi non ci capisco più niente.
Come produttore il mio stile dipende da ciò che faccio. Quando compongo come Robotnick mi sento electro, e basta.

Non molto tempo fa su Hot Elephant è uscito “Under construction”..ce ne parli meglio? Come è nato questo album?

E’ nato dal fatto che in questi ultimi anni mi hanno ossessionato coll’Italo-Disco. Nonostante sia considerato un esponente di spicco della Italo, in realtà io nei primi ottanta ero sul versante New Wave e la disco per me era Sandy Marton e roba del genere. Poi, da qualche anno ho scoperto tutta la italo-disco underground prodotta un tanto al kilo ma piena di perle e di spunti che hanno ispirato tutta la generazione electro di oggi.
Quindi Italcimenti è diciamo una affettuosa presa di culo della Italo…..

Hot Elephant è la tua etichetta personale…ci vuoi parlare delle prossime uscite?

Beh…prima o poi dovrò uscire con un nuovo Robotnick. Sto spaziando molto, ancora troppo ma comunque non ho nessuna furia. Il Djing mi prende molto. E’ un’attività nuova per me, quindi ancora piuttosto entusiasmante.

Sempre rimanendo in tema come vedi la scena musicale di oggi? Ci sono produttori che ti incuriosiscono?

Incuriosire…non so. Ci sono autori che mi piacciono molto, a cominciare da Legowelt, Bangkok Impact, Alden Tyrrel e poi i Francesi: Kiko, The Hacker, David Carretta e tanti altri. In generale la scena che preferisco è quella Belga-Olandese

Tu hai collaborato con artisti del calibro di The Hacker e Kiko…che ne pensi di questa corrente electro di scuola francese?

Mi piacciono assai. Anche se vengono tutti dalla techno, a parte Black Strobe. Mi piace molto la loro aggressività, non fredda e quest’aria sempre un po’ house delle loro produzioni. Quando vanno un po’ troppo sul «francese» mi piacciono meno. In Francia ci sono quote di passaggi radio dedicate a brani cantati in Francese. Quindi un sacco di gruppetti punk elettronici con vocette francesi che mi entrano da un orecchio ed escono dall’altro.

Prima dei saluti ancora una domanda…qual’è il tuo rapporto con la tecnologia? Preferisci produrre con i vecchi, ma sempre solidi, strumenti hardware o con le nuove applicazioni software?

Un misto. Indietro dal computer non torno. Ho già dato, grazie. Quindi principalmente uso (su PC) Sound Forge, Acid, Ableton Live e Cubase SX con molti plug-in. Gli analogici sembrano comunque ancora indispensabili per certe sonorità. La maggior parte dei plug-in suonano ottimi finchè li senti da soli, ma poi nel mix spariscono. Tempo fa mi sono ricomprato un Korg Mono-Poly. Bellissimo, come tornare a casa.
Comunque qualche plug-in lo uso regolarmente, come il bass-line di Audiorealism, o il Pro5. Magari però avere quello vero!

Grazie della tua disponibilità…fai un saluto ai lettori di Technodisco….ci tengono! 🙂

Tanti baci ai lettori di Technodisco. E ricordate:
«We love the music, the music we love!!»
Ciao mau

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