#099 -Usi e abusi di un termine [30-04-2006]

Non è certamente la prima volta che l’Italia si rende protagonista di una snervante superficialità indirizzata al settore della musica. Nel corso dell’ultimo decennio si sono rincorsi decine di ‘trends’ (dall’underground alla progressive, dalla trance alla techno, dall’elettronica alla speed garage) che hanno contribuito soltanto nel cementare una gran confusione. Già, perchè oggi i dj’s house e i dj’s techno suonano praticamente la stessa musica. Se fino ad una manciata di mesi fa pareva essere l’electro lo stile più in voga, ora assistiamo ad un’incredibile invasione del ‘minimal’, un filone nel quale, sino a pochi anni addietro, veniva fatto rientrare un certo tipo di techno condizionato dall’incedere ciclico dei grooves. Ho sentito dire che la ‘minimal’ è la nuova house … eppure c’erano artisti che già nel 1997 perseguivano con cabarbietà questo filone che per la massa però era inascoltabile. Oggi tutto è minimal. C’è gente che, pur di rientrare nel ‘minimal’, ha passato l’inverno senza cappotto per scrollarsi di dosso quel ‘di più’ scartato dal suddetto genere musicale. Ma che diavolo è il ‘minimal’ ? Un modo di pensare ? Di vivere ? Di essere ? Come quello della house di qualche tempo fa e che ora nessuno vuol più seguire. Perchè la house di una volta, coi cori, coi pianoforti e con gli inserimenti nati dal soul, appare vecchia ed ormai superata. Una moda quindi, come quella di vestire un jeans nero anzichè blu, scampanato anzichè stretto a sigaretta. Peccato che la musica sia diventata una semplice forma di apparire, paragonata a stupide convinzioni che si ergono come veri e propri muri invalicabili.

-2020 Soundsystem "No Order" (2020 Vision): si tratta di un eccellente album nel quale avrete a che fare con della spassionata electrofunk nella quale i picked bass si sprecano e si consumano sotto le misure quaternarie della dance, sempre linda e graffiante. Sono i bassi che a volte paiono parlare in un’ideale botta e risposta con intrusioni digital-funk che rimandano allo stile ben collaudato dei finlandesi Putsch ’79. Da segnalare è anche il ‘Live @ Sonar’ nel quale si apprezza il riuscito rework di "The Chase" di Giorgio Moroder. P-funk, disko, electro, rock e punk: questa la sintesi sonora dietro il quale opera il quartetto dei 2020 Soundsystem.

-Sascha Funke "In Between Days" (BPitch Control): amante di ritmiche piallate dalle quali si ergono impalcature sonore fluide, Funke forgia la lunghissima "In Between Days" che in dieci minuti edifica una complessa struttura dalle venature trancy. Una scalata verso l’alto che guarda nell’azzurro del cielo: questo il senso figurato della traccia che lascia precipitare l’ascoltatore in un sogno nel quale un temerario principe affronta draghi e bestie d’ogni tipo per salvare la sua bella. Un gusto diverso è quello della più squadrata e geometrica "In Between Ways" e di "In Between Gates" con la quale si torna a parlare la lingua della techno costruita attraverso minimal loops e giochi di frequenze che lasciano passare, tra un beat e l’altro, anche celestiali pads importati dalla trance.

-Aa.Vv. "History Is Bunk" (Hefty): la label di Chicago guidata da John Hughes non interrompe il clima festoso per il decennale di attività. Dopo "Digest" è la volta di "History Is Bunk", la collection divisa in due volumi che raccoglie tracce inedite e rivisitazioni dei pezzi di artisti che in questi dieci anni hanno inciso per la label. La musica da ascolto si miscela a della ruvida electro in tracce come "Russian Ice Slide" di Slicker, e "The Lonely Tired Dance" di Victor Bermon raggiunti dal trip-hop squarciato solo in un paio d’occasioni dalle cacofonie dell’experimental. Da "Absentminded" di Spanova ad "Anticamera Dei Dubbi" dei pompeiani Retina.it, da "She Walks With" di Beneath Autumn Sky ad "Anonyme" di Samadha (il remix è di Jan Jelinek) sino a "God Bless This Mess, This Test We Pass" di Slicker (ritoccato da Haruomi Hosono, ex Yellow Magic Orchestra) e la danzereccia "Compose The Beat" di Plus Device che fa il vezzo all’electronic dance degli anni ’80.

-Fancy & Spook "We Had The Technology" (Heatray): in questo vinile di provenienza inglese è racchiusa l’essenza dell’underground: a partire dalle grafiche essenziali e povere di elaborazioni alla copertina che svolge semplicemente il ruolo di preservare la plastica circolare da eventuali graffi e sfregature. La preziosità è nel sound forgiato attraverso vecchi equipments analogici dai quali fuoriescono ritmiche vintage (con tanto di cowbell e rim-shots) e synthezoid lines che fanno l’occhiolino a certi esperimenti marchiati Basteroid, Orgue Electronique ed It & My Computer. Support the underground please.

-Tom De Neef/Rob Wilder "Live:Paris" (Hed Kandi): De Neef e Wilder: sono loro che si dividono la playlist del recente tassello della storica saga marchiata Hed Kandi. Il primo opta per tracce che ripropongono la classica formula della house dispersa negli ultimi tempi a favore di un filone più tec(h)nologico (The Brand New Heavies, Funkerman, Anthony Acid e Full Intention) mentre il secondo prende una piega maggiormente vicina ai suoni squadrati dei synths e delle batterie elettroniche grazie a Dave McCullen, Mark Knight feat. Katherine Ellis e i Röyksopp con la hit "49 Percent" cantata da Chelonis R. Jones e ricostruita dai richiestissimi Steve Angello e Sebastian Ingrosso. Il tutto è racchiuso nel solito package ultracolorato e provvisto del magnetic-strip, la chiusura calamitata con cui Hed Kandi ne ha fatto il suo tratto distintivo.

-Dj Hyper "We Control" (Kilowatt Recordings): si tratta di un album che fa da culla ad un’incredibile varietà sonora che indaga nel campo del breakbeat, dell’electro, del punk e del rock. Autore è l’inglese Guy Hatfield aka Hyper affiancato da Jim Davies, Ronnie e Leeroy Thornill (si, proprio quello dei Prodigy) che consegna al panorama europeo un’opera complessa e dinamica fatta da 10 tracce nelle quali il new-wave passa dall’hip-hop, il breaks viene filtrato dal drum’n’bass e il rock si modula sull’electro. Un effetto simile a quello scaturito dalla recente collaborazione tra Gianna Nannini ed Apparat a testimonianza che la creatività e l’estro sono in grado di unire anche poli apparentemente discordanti.

-Siriusmo "MiniRock" (Grand Petrol Recordings): facendo leva su giochi sonori derivati dall’accostamento di generi distanti, Siriusmo lancia una singolare electrofunk con "Mein Neues Fahrrad" tagliata in più punti da breaks sopraffini. Con "Urlaub In Berlin" invece ripropone in chiave modernista la cultura del funk anni ’70 intagliando in beats seminali forti picked bass e samples centrifugati con forza. Le ispirazioni dal passato non terminano e con "Discosau" s’assiste ad una sorta di "Sweet Dreams" nella quale la voce di Annie Lennox viene sostituita da fluttuanti concatenazioni armoniche che sfociano nel jazz. Poi lo squillante rock accelerato nei bpm di "MiniRock" e "L.I.Z.I.", segmento in cui s’incuneano rumori incastrati vicendevolmente l’uno nell’altro come le facce del cubo di Rubik.

-Hydroid "Atlantis/Sonate" (Wildchild Records): il giovanissimo israliano Itay Steinberg, a soli 20 anni, riesce ad entrare nel circuito della celebre Baroque che fa confluire i suoi pezzi sulla division Wildchild. In "Atlantis" e "Sonate" si ode lo spiccato romanticismo della trance, un genere che l’Europa ha dimenticato in fretta. Questo è un disco che infonde fiducia negli animi dei nostalgici di uno stile che, forse, un domani sarà nuovamente sulla bocca e nelle orecchie di tutti.

-Aa.Vv. "Schranz & Loops 4" (Alphabet City): quarto episodio per la collection realizzata in collaborazione con Robert Natus che mostra il lato più selvaggio e rumoroso della techno, paragonabile per canoni e concept all’ormai defunta hardcore di paternità olandese. Il cd 1 muove su tools non eccessivamente estremisti firmati da Tadox, Collabs, Tom Hades, Christian Fisher & Dj Murphy e Dj Mahatma mentre nel 2 il tipico boato della schranz si fa sentire con un impeto senza pari grazie alle ritmiche indiavolate e roteate dalle tracce di Mario Ranieri, Sven Wittekind & Torsten Kanzler, Boris S. vs Miss JK, Pet Duo,
Felix Kröcher e l’immancabile Natus. Una collection indicata agli amanti delle alte velocità e dei suoni distorti, quelli che fanno rabbrividire gli impianti non collaudati e i timpani di coloro che non sanno ancora cosa si cela dietro la dicitura ‘schranz’.

-Traxx pres. The Dirty Criminals "CoLLisiOn BetwEEn Us And The DaMneD" (International Deejay Gigolo): è il follow-up del fortunato "Organized Confuzion" (per il quale si registrò anche la presenza di Hieroglyphic Being) col quale Traxx e Deecoy continuano a reintrodurre una certa jackin’ house miscelata con veemenza all’ebm e all’acid. Tutte le tracce fanno da tributo alle polverose strumentazioni hardware, quelle avvolte dai cavi dai quali pulsano suoni sporchi e ritmiche putride. Con "Acid Box" e "101 Jax" si rinnova il sodalizio con Tadd Mullinix (aka Dabrye, James T. Cotton e Charles Manier), "Krash" e "Jak The Box" sono assemblate con Matt Nee della Kompute, i vocals di "Hurt Yourself" sono affidati a Mount Sims e, dulcis in fundo, "MTT Inversion" ‘sporcata’ dalle mani di Danny ‘Legowelt’ Wolfers, che fiancheggia una techno stemperata e ricostruita attorno a suoni grezzi, invecchiati ed erosi dal tempo. Traxx e Deecoy ci consegnano un’ideale prototipo del sound di domani, edificato e cementato con gli strumenti di ieri. I ricordi in un futuro che verrà.

-Boni & Tooth T "Reflexion" (38db Tonsportgruppe): Andreas ‘Boni’ Bonifart e Thomas ‘Tooth T’ Zahn di nuovo insieme grazie ad un condensato musicale che trae ispirazione da più filoni come la techno, l’house e l’electro. "This Is What We Need" riporta allo stile Get Physical nel quale la voce di Aaron Down s’inserisce tra aperture disco e basslines electro mentre la più studiata "See You Soon" calpesta un itinerario sonoro un pò 80’s e dai riflessi electronic-disco nei quali trovano alloggio un bassline vispo e un vocoder vox che sembra provenire da una vecchia hit. Chiude "Stupid Questions" che s’arricchisce con sviolinate trance e bassi che strisciano come lucertole sotto beats semplici e lineari.

-Alif Tree "Forgotten Places" -remixes- (Compost): estratto dal recente album "French Cuisine", "Forgotten Places" si ripresenta in tre versioni remix che non disperdono però la sua originaria connotazione jazz-funk-chilly. Le percussioni afro spadroneggiano nella versione di Moodyman che ricrea l’effetto del suono primordiale di Detroit, quello che a volte pulsa nei sets di Jeff Mills. Una differente prospettiva è quella di Felix Laband che invece opta per un disegno di basso più scuro e twist sul quale poggia una struttura in chiave deep-house. A chiudere è lo stesso Alif Tree con la LA Mix, pacata dance che, nonostante le misure in 4/4, non si lascia forzare dal plasticume elettronico rimanendo ancorata all’acustica e ad un moderno bossanova.

-Posthuman "The People’s Republic" (Seed Records): il duo, emerso dalle quinte della celebre Skam Records, è noto per aver organizzato una serie di party con artisti come Aphex Twin, Richard X, Goldfrapp e Mark Moore presso alcune tratte in disuso della metropolitana londinese di Aldwych, quella immortalata dal terzo capitolo della saga Tomb Rider con una Lara Croft che fronteggia con trabocchetti e misteri da risolvere nelle tenebre del ‘the tube’. La sensibilità che s’avverte in "The People’s Republic" è quella del post-rock abbinata al dark che fa da padrone nelle 12 tracce per cui è difficile rintracciare i titoli, suggeriti solamente nell’ultima pagina del colorato booklet. In "India", "Sri Lanka", "Pakistan", "Middle East" e "Japan" s’aggirano anime di fantasmi sotto un’aria gelida e cupa degna di essere menzionata nel migliore albo di Dylan Dog o nel più riuscito romanzo di Urania.

Electric greetz

DJ GIO MC-505

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