#180 -Atto finale per la Suction Records

Suction Records nasce oltre dieci anni fa, nel 1997, dalla voglia di Solvent (Jason Amm) e Lowfish (Gregory De Rocher) di diffondere nel mondo la ‘robot music’. Il background affonda le radici nel caldo suono analogico che, sin dagli anni settanta, è stato irradiato da artisti come Gary Numan, Giorgio Moroder, Kraftwerk, Tangerine Dream e poi Depeche Mode, OMD, New Order, Human League, Soft Cell, Yazoo sino a giungere ai più vicini Aphex Twin, I-F, Autechre, Bochum Welt, Adult. ed altri ancora. Una filosofia stabilmente connessa all’underground quella della label canadese che è riuscita sempre a sposare gli elementi dell’electropop più vintage a quelli della moderna electronica. Un’estetica, insomma, che ha mischiato corpi robotici a menti umane. Oggi però da Toronto arriva una notizia che non farà felici gli amanti di tutto ciò: Suction infatti chiude battenti. Ormai inattiva dal 2003 (l’ultimo ad essere pubblicato fu “The View From Your New Home” di The Mitgang Audio) la struttura ha vissuto in uno stato vegetativo dal quale, purtroppo, non si è più risvegliata. Un coma farmacologico però, visto che di idee, Solvent e Lowfish, ormai affermatisi come solisti, ne hanno ancora molte. Ma nella brutta notizia c’è anche del buono: in questi giorni arriva nei negozi “Now We Are Dead”, il 12″ dalla tiratura limitata a 400 copie che simboleggia l’atto finale di Suction. Quattro le tracce, due di Solvent (“Divided Into Units”, “Incision”) ed altrettante per Lowfish (“Theme To A Dead End”, “Shattered”), le ultime ad uscire dalle mura di una label che, nel suo piccolo, ha contribuito più che attivamente nello scrivere la storia dell’analog-electro-retro contemporanea e postmoderna. Ad onorare il colpo di coda è un minitour partito il 19 gennaio da Toronto che sta toccando città come Detroit, Chicago, Milwaukee, Hamilton e che si concluderà il 2 febbraio al Grog Shop di Cleveland. R.I.P. Suction.

-Dominik Eulberg “Bionik” (Cocoon Recordings): con quell’aspetto sornione con le gote arrossate per il freddo dei rigidi inverni tedeschi Dominik Eulberg non può che trasmettere un senso di pace. Ed anche la sua musica, soprattutto quella che Cocoon ha radunato in “Bionik”, non lascia spazio a rumori e ai frastuoni che generalmente accompagnano quella da ballare in discoteca. Eulberg compone senza pensare alle luci psichedeliche e all’effetto che queste possano avere combinandosi col suo istinto sonoro. E in “Bionik” ci sono casi in cui la cassa in quattro pare solo un inutile e trascurabile dettaglio, quasi un fronzolo che ciondola solo per conferire un senso di ritmo (“Der Traum Vom Fliegen”, “Libellenwellen”) ed altri in cui tutto è imperniato e ruota su toni ipnotici, rinchiusi in loops claustrofobici e desiderosi di lasciarsi librare nell’aria come uccelli (“Autopfoten”). Alla sede della Cocoon lo definiscono l’autore del ‘dopo minimal’ ma alle orecchie della massa il suo lavoro potrebbe suonare semplicemente come l’ennesimo disco di dance elettronica che mette in crisi chi si ostina a distinguere ancora house e techno. Tra le più impetuose e penetranti trovo “Rückenschwimmzipper”, “Lonseffekt” e “Rattenscharf”, un trittico utile ad avventurarsi nel microcosmo di questo giovane artista tedesco che dimostra ampiamente di aver saputo oltrepassare il concetto della musica intesa come ‘inscatolamento di suoni predefiniti’. Il futuro, per fortuna, ci ha riservato anche sorprese come questa.

-The Hasbeens “Keep Fooling Yourself” (Clone): il progetto di Alden Tyrell e Dj Overdose ritorna dopo la breve parentesi del 2006 (“Make The World Go Away”, stampata su un vinile monofacciata a strettissima tiratura). L’e.p. contiene tre tracce, una più bella dell’altra, ricche di materie meccaniche e decisamente energiche. La title-track, “Keep Fooling Yourself”, sprigiona pura italo-disco mischiata alle classiche venature electro made in Holland con melodie imperanti alla Miko Mission. “Ain’t The Same As Before” invece macina un andamento più funky, col vocoder in bella mostra pronto a donare il classico emblema future-retro, segnale contraddistintivo del mondo Clone. E, per coloro che l’avevano persa, anche “Make The World Go Away”, con quelle raschiate di synth e quel cantato robotizzato che strizza tanto l’occhio al vecchio Mr. Flagio.

-Kadebostan “Grand Theatre E.p.” (Fenou): poche uscite ma tutte studiate per la Fenou, ‘sorella’ della Mo’s Ferry Prod. di Dapayk ed anello di congiunzione e raccordo tra minimal, experimental ed electronica, decisamente slegata da ogni tipo di contesto dance. E’ proprio il caso di “Batalla En El Cielo”, un trip nell’ambient scaldato da una parte cantata ed un accompagnamento eseguito alla chitarra. Un sapore più noize ed interfacciato al rumorismo dal fascino sottile che solo chi vanta una cultura musicale di un certo tipo potrebbe apprezzare e decodificare è invece quello di “Sofia On Stage”. Quella che, al contrario, potrebbe piacere alle grandi platee sin dal primo momento è “5.51 AM”, intreccio di fibre ritmiche alla Samim avvinghiate a stralci di musica anni cinquanta con tanto di cantato malinconico dal gusto teatrale. Tutto ciò facilita la convinzione di ascoltare l’erede di “Viktor Casanova” (Italoboyz). Che la Fenou stia per spiccare il gran salto?

-Don Rimini “Absolutely Rad E.p.” (Mental Groove): techno, pop, rock, hip-hop e ghetto house sono gli elementi che Don Rimini (non lasciatevi trarre in inganno dal nome, Xavier Gassemann non è affatto italiano) mischia quasi con frenesia nel follow-up di “Time To Panic” uscito giusto un anno fa. “Let Me Back Up” è rumoroso quel che basta per accomunarlo, senza problemi, al suono graffiante di Olivier Kaiser, Shir Khan, Digitalism e Vitalic e il discorso non cambia di una virgola per “Sumos & Geishas”, ancora più raw e distorto e tendente alle brutali scorribande di Justice, Boys Noize, Simian Mobile Disco e SebastiAn. Due i remix: quello dei Crookers (sono loro gli italiani) in cui tutto si apre e converge verso melodie epiche ed incroci armonici (personalmente mi fa tornare alla mente i Sunbeam) e quello di Manu Le Malin (The Driver) e Lunatic Asylum, due veterani della techno-hardcore francese, per mezzo di cui si torna a marciare sui ritmi pastosi di un’electro-rock che, forse, mancava del tutto al catalogo Mental Groove. A completamento c’è “Let Me Ride Up” (il tocco è dei Poney Poney), slanciato inno indie-rock alla Kitsuné.

-Aa.Vv. “We Are Punks 2” (Datapunk): sembra che il futuro di Anthony Rother risieda proprio in Datapunk, la label che ha letteralmente spodestato l’ormai poco battuta Psi49net, la ‘sorella’ Psi City e l’ormai addormentata Stahl Industries. Segno che il sound dal gusto più europeo (e di conseguenza dalle venature più crossover) funzioni di più e ciò gioca a sfavore di tutti coloro che continuano a sperare che Rother possa tornare quello di “Sex With The Machines”, “Simulationszeitalter” o “Biomechanik”. Per adesso accontentiamoci di questa raccolta da lui selezionata setacciando il catalogo e mixata dall’amico Matthias ‘Ziel 100’ Gustke. Ad essere letti dal laser del cd player sono i brani di Artist Unknown, Frank Kusserow, Gregor Tresher, Xenia Beliayeva, Kiko, Billy Nasty, Internal Sync, Christopher Kah e Umek, tutti messi in comunicazione da forme embrionali di digital electro segnata dall’incedere di striscianti (e rumorosi) bassi, gli stessi che Rother si porta dietro sin dai tempi di “Back Home” (2003). Tra gli unreleased, oltre a Ziel 100, Robert M, Daniel Wilhelm e Frank Kusserow (che intraprendono, a grandi linee, lo stesso stile del tedesco miscelandolo a squarci di neo-trance) troviamo “Behind Your Eyes” di Artist Unknown (ossia i Märtini Brös.) e la graditissima “Midlife Crisis” della ritrovata coppia Miss Kittin & The Hacker che strizza l’occhio a storici brani del passato come “Frank Sinatra”, “1982” e “Stock Exchange”.

-Shahrokh SoundofK “Break It Down” (Compost Black Label): il duo composto da Shahrokh Dini ed Andreas ‘Sound Of K’ Köhler ritorna ancora per mezzo della Compost. Per “Break It Down” si avvalgono della voce dell’australiano Jamie Lloyd che sembra un fine ricamo intorno ad un’ipnotica deep-house e ad un pop d’impatto visibile, caldo ed appassionato. La Dub resta utile agli amanti delle situazioni più intensamente scure. Sul lato b la nuova versione di “Chicago”, a firma Simon Flowers, che rimette in circolo gli elementi della vecchia house statunitense, tranquilla, elegante e raffinata, non così lontana dal filone che qualcuno azzarda nel definire chill-house. Chiude “Black Bird” che ripesca il minimal degli anni novanta iniettandolo nell’estetica moderna che però ben poco si addice ad una label come Compost. La struttura di Michael Reinboth infatti ha sempre limitato lo spazio alle mode imposte dalle masse. Speriamo che continui a seguire questa filosofia.

-TeslaSonic “Hidden Secret Space” (MinimalRome): dietro TeslaSonic armeggia un collettivo che si pone come ideale laboratorio di suoni, immagini e parole. E nel contempo rende omaggio a Nikola Tesla, il serbo-americano impegnato, tra fine ottocento ed inizio novecento, nelle scoperte nel campo dell’elettromagnetismo (è il suo lavoro a fornire le basi del moderno sistema elettrico a corrente alternata). Purtroppo, avendo sempre trascurato l’aspetto finanziario, Tesla muore povero e dimenticato e, per giunta, dipinto dai media come una sorta di scienziato pazzo e visionario. Lontana dalle imposizioni commerciali è anche l’electro dei ragazzi che abitano nelle cellule di TeslaSonic, programmata con dovizia attraverso strumenti d’altri tempi e sincronizzata su schemi che artisti come Dopplereffekt, Le Car, Ectomorph ed I-F hanno sdoganato di continuo nell’ultimo decennio. La puntina del mio giradischi si posa con più piacere su “Science Perversion”, crocevia di basslines robotici, sincopi ritmiche e blips astrali. Connesse a trame tipiche di Bunker e Crème Organization sono invece “Hidden Secret Space” e “The Anaesthetist’s Pin”. Con “Tesla Discoverer” e “Lunatic Asylum” poi si lascia calare la velocità all’interno di capsule magnetiche avanzando verso suoni alla Gosub ed Arpanet. Tesla, l’uomo che inventò il Ventesimo secolo (così come lo definivano i suoi ammiratori) torna in vita. E il suo cuore pulsa al ritmo del nuovo MinimalRome.

-The Human League “The Things That Dreams Are Made Of” (Hooj Choons): a volte ritornano. E, in casi come questo, non si può che esultare. Da un lato la storica band di Philip Oakey, simbolo imperante dell’electropop anni ottanta, dall’altro la rinata Hooj Choons, icona della discografia anni novanta, chiusa nel 2003 ma oggi desiderosa di tornare con grinta e caparbietà sul mercato. Il brano, estratto dal vecchio lp “Dare!” targato 1981, rivive attraverso versioni moderne. Quella che prediligo è di Ilya Santana, la meno distante dalla matrice originale synth-pop ma devo ammettere che anche Tiga ha fatto un buon lavoro traducendo tutto in chiave più gotica ed acidula. Mi piace meno invece quella di Kissy Sell Out, troppo prevedibile per le mie orecchie. Sul cd invece confluiscono anche le rielaborazioni di Richard Stone e Justus Köhncke.

-Franco Cangelli “Highway E.p.” (Aesthetik Records): dopo un periodo di pausa (forzata dal cambio di distribuzione) la label dell’italo-belga Franco Cangelli rientra nel circolo dell’operatività. L’impronta nitida di questo #006 è della detroit-techno che si evolve progressivamente in una moderna forma di techno-house ravvivata da strings ed affusolate melodie. Deep techno verrebbe da chiamarla, come certe cose promosse anni fa da Kanzleramt o Konsequent. Ed “Highway” suona proprio come alcuni brani del buon Heiko Laux. Più ‘palleggiato’ invece è “Things Coming Together” con la 808 sotto le orecchie ed un basso funk decisamente avvincente. Poi, sul lato b, “Presumably So”, più grattata e micro, tranciata al centro da aperture di celestiali pads. Il pezzo è riletto dal bravo Reynold (Trenton) che ne pialla i ritmi e ne amplifica un vago senso di trance. Cangelli conferma la presenza tra old-school e neo-minimal: dalla sua musica emerge un background solido e non solo emulazione di un genere che ancora in tantissimi credono essere nuovo.

-Aa.Vv. “Details” (Level Non Zero): un tempo sostenitore di una techno più rotolante, aggressiva e ruggente, Pascal F.E.O.S. è uno di quelli che ha dovuto adattarsi al mercato discografico per poter rimanere sulla cresta dell’onda. In “Details” raggruppa il meglio pubblicato sinora sull’etichetta fondata con l’amico Chris Wood, la Level Non Zero, ormai diretta erede delle ibernate Planet Vision, Phono Elements ed Omychron. Fresh Fried, Marc Miroir, Andrew Frame, Björn Wilke sono solo alcuni dei nomi che ricorrono nella playlist. Ed anche quello di Mihai Popoviciu, il giovane dell’Est che sembrava davvero lontano da questo genere, soprattutto facendo riferimento alle apparizioni su International Deejay Gigolo e Vokuhila. Segno che davvero tutti, se vogliono, possono lasciarsi conquistare dal circolo della nu-techno-house. Non manca lo stesso Pascal F.E.O.S. coi suoi pezzi più recenti come “Tres O Tres”, “The Key”, “Brooklyn Style” e “Tanzbombe”, gradevoli ma non così diversi dalla miriade di minimalismi ritmici che la Germania immette sul mercato con cadenza quotidiana da ormai un biennio a questa parte.

Electric greetz

DJ GIO MC-505

Giosuè Impellizzeri

Giornalista musicale, consulente per eventi, reporter per festival internazionali, produttore discografico, A&R e promoter per una label, autore della colonna sonora di un videogame, autore di un libro dedicato alla Dance anni Novanta, selezionatore e redattore di shows radiofonici, Dottore in Beni Culturali: tutto in uno. Giosuè Impellizzeri da un lato, DJ Gio MC-505 dall'altro. Le prime recensioni appaiono su una fanzine, nel 1996. Dopo quattro anni inizia il viaggio che si sviluppa su testate cartacee e sul web (TheDanceWeb, Cubase, Trend Discotec, DiscoiD, Radio Italia Network, TechnoDisco, Jay Culture, Soundz, Disc-Jockey.it, Basebog, La Nuit, Jocks Mag, AmPm Magazine). Ogni anno dà vita ad oltre seicento pubblicazioni, tra articoli, recensioni ed interviste realizzate in ogni angolo del pianeta. Tutto ciò gli vale la nomina, da parte di altri esponenti del settore, di 'techno giornalista', rientrando tra i pionieri italiani del giornalismo musicale sul web. Nel 2002 fa ingresso nel circolo dei DJs che si esibiscono in Orgasmatron, contenitore musicale di Radio Italia Network, proponendo per primo in un network italiano appartenente alla fascia del mainstream un certo tipo di Electro, imparentata con la Disco, il Synth Pop e la Techno. Nel medesimo periodo conduce, per la stessa emittente e in particolare per il programma di Tony H e Lady Helena, la rubrica TGH in veste di inviato speciale alla ricerca di novità musicali provenienti da tutto il mondo. Per quel che concerne la sfera della produzione discografica, dopo le demo tracks realizzate nella seconda metà degli anni Novanta, incide il primo EP tra 2001 e 2002, "Android's Society", che contiene "Commodore Generation", remixata dai finlandesi Ural 13 Diktators, finita nella top-ten dei più suonati sulle passerelle di moda milanesi e supportata da nomi importanti tra cui Tampopo, David Carretta, Vitalic, Capri, DJ Hell e Romina Cohn. La storia continua con altre esperienze, vissute prima tra le mura della H*Plus di Tony H ("Tameshi Wari EP" e "Superstar Heroes EP") e poi tra le fila delle tedesche Vokuhila ("Engel Und Teufel EP", con "El Diablero" remixato dagli Hong Kong Counterfeit e Maxx Klaxon), 38db Tonsportgruppe ("Borneo EP", col remix Electro Disco di Chris Kalera) e della slovena Fargo (col rombante "Technomotor EP"). Dal 2005 al 2008 affianca Francesco Passantino e Francesco Zappalà nella conduzione della Tractorecords e della Laboraudio, digital-label concepita come laboratorio di musica finalizzata alla valorizzazione di artisti appartenenti al sottobosco creativo. Poi collabora col bolognese Wawashi DJ (oggi nel chiacchierato progetto Hard Ton) per "Gary Gay", si lascia remixare dallo svedese Joel 'Jor-El' Alter ("Stroboscopic Life"), partecipa al "The Church Of Pippi Langstrumpf" su Dischi Bellini e viene invitato dall'etichetta berlinese Das Drehmoment a prendere parte al progetto "Rückwärts Im Uhrzeigersinn" insieme ad altri artisti di spessore internazionale tra cui Kalson, Replicant, Makina Girgir, Starcluster e Polygamy Boys. Nel 2010, dopo nuove esperienze discografiche ("Gaucho", su Disco Volante Recordings, coi remix di Gabe Catanzaro, Hard Ton, Valyom & Karada, Midnight Express e Bangkok Impact, e "The World In A Pocket EP", su Prodamkey/Analog Dust, avvalorato dalle versioni di -=UHU=-, Alek Stark, Downrocks, Snuff Crew, Gesloten Cirkel e Metacid), diventa free lance per DJ Mag Italia, versione italiana della celeberrima testata editoriale inglese dedicata alla musica elettronica e alla DJculture. In parallelo fonda, con l'amico Mr. Technium, la Sauroid, etichetta che si propone come punto di raccordo e diffusione di diversi stili tra cui Acid House, Italo Disco, Electro, Nu Rave e Chiptune.

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