INTERVISTA AD ANDREA BENEDETTI di Giosuè Impellizzeri

Inizia l’attività nel campo musicale agli inizi degli anni ’80 lavorando in alcune discoteche ed emittenti radiofoniche di Roma. L’interesse per la produzione discografica invece sboccia solo alla fine dello stesso decennio quando, assieme ad un vecchio amico musicista e fonico, fonda e gestisce uno studio di registrazione, lo stesso dal quale escono alcune delle releases apparse su SNS (Sound Never Seen), la label del dj Lory D., emblematica colonna portante della Roma della rave-age. Qualche anno più tardi (1993) fonda la Plasmek, piattaforma attraverso la quale affina il suo gusto e riesce a dare spazio ad altri produttori di musica techno ed elettronica. Artefice di tutto ciò è Andrea Benedetti, uno dei punti cardine della scena romana (assieme agli amici Marco Passarani, Mario Pierro e Francesco De Bellis) che oggi rappresenta meglio l’Italia elettronica oltre le Alpi. Da sempre interessato anche all’aspetto divulgativo della musica elettronica, Andrea Benedetti sbarca su Technodisco per affrontare discorsi che gravitano attorno alla scena musicale underground del nostro Paese. Incontriamolo.

Ciao Andrea e ben approdato sul nostro sito web. Iniziamo la nostra chiacchierata puntando i riflettori sul tuo passato: quando hai iniziato l’attività nel campo musicale ?? Quali sono stati gli artisti e i pezzi che ti hanno spinto ad accostarti alla musica elettronica ??
“Ho iniziato, come molti, facendo il dj. Il primo mixer lo comprai nell’ormai lontano 1980 e mi allenavo minimo 8 ore al giorno. Mia madre mi ha imposto le cuffie dopo un mese … Poi, visto che la musica era una grande passione ed avendo anche studiato pianoforte, decisi di aprire uno studio di registrazione (nel 1989) con un mio caro amico musicista e ingegnere del suono, Eugenio Vatta. Con Eugenio dividevamo anche molti gusti musicali. Ci conoscemmo a scuola per il comune amore dei Pink Floyd. L’album “Dark Side Of The Moon” è stato uno dei dischi che mi hanno fatto avvicinare alla musica elettronica assieme a “Trans Europe Express” dei Kraftwerk. Comprai il 45 giri nel 1977 e lo sentivo di continuo. Parallelamente adoravo il funk sopratutto gli Earth, Wind and Fire e, ad essere sincero, quando ero piccolo la cosa mi creava confusione. Vedendola oggi invece mi rendo conto che è come se avessi sempre aspettato uno stile che riuscisse a fondere tutti questi elementi: l’electro prima e la techno di Detroit poi, hanno finalmente risolto la questione. In generale gli artisti che hanno influenzato la mia musica durante i primi tempi (sia come produttore che come dj) sono stati D-Train, Yello, Phuture, Terrace, Model 500, Like A Tim, Herbie Hancock, Hashim, Egyptian Lover, Afrika Bambaataa, Pink Floyd, Kraftwerk, Brian Eno, Public Enemy, Dynamix II, Mantronix, Trouble Funk, Joey Beltram, le prime cose della Ifach e della Djax-Up-Beats, Jeff Mills, Cybersonik, Drexciya, Dopplereffekt ed Underground Resistance”

Come definiresti il tuo stile musicale??
“Sono sempre stato in bilico tra funk ed elettronica. In generale fra groove (che per me significa puro coinvolgimento fisico) e sperimentazione e di conseguenza anche meditazione, contemplazione e ricerca. In questo senso gli stili che mi ispirano sono l’electro, la techno di Detroit, l’elettronica e la psichedelia. Non è facile far convivere queste diverse anime fra loro ma credo di esserci riuscito in una delle tracce che amo di più, “Neural Acid”. Ritengo comunque che il mio stile si possa definire un mix fra electrofunk e techno con un sano tocco di psichedelia”

Nel lontano 1990, in coppia con Lory D., fondasti la Sounds Never Seen Records (SNS): quali furono le principali motivazioni che ti spinsero a creare una label tutta tua ??
“Prima di tutto devo chiarire che la Sounds Never Seen non è stata una mia etichetta ma l’etichetta di Lory D. Ebbi il piacere e l’onore di poter contribuire alla sua nascita in quanto Lory cercava uno studio di registrazione dove poter realizzare i suoi brani ed io, come ti ho già detto prima, dal 1989 ne avevo uno. Lory ci parlò (a me ed Eugenio) del suo progetto e, trovandoci d’accordo su tante cose (sia dal punto vista musicale che umano), decise di dividere con noi anche l’aspetto produttivo. E’ stata una grande esperienza perché c’è stato un vero scambio di idee. Lavorare con un musicista aperto come Eugenio ed un grande artista come Lory è stata una cosa molto importante per tutto quello che ho fatto dopo. Dal punto di vista delle motivazioni, Lory ebbe la giusta intuizione che i rave, al tempo molto frequenti dalle nostre parti, erano un fenomeno che rappresentava solo la punta dell’iceberg. Era una vera e propria rivoluzione musicale in atto e lui voleva farne parte subito. Ed infatti la SNS è stata la prima etichetta techno sperimentale in Italia”

Qualche anno più tardi nacque la Plasmek che rientra nel reticolo di labels radunate sotto l’egida Final Frontier. Come è nato il contatto con Marco Passarani ??
“Dopo l’esperienza con la SNS realizzai altri 12″ con altre etichette romane (Sysmo e Mystic) prodotte da Remix, un negozio molto importante per la diffusione della techno nella capitale. Proposi di realizzare una mia etichetta e così, nel 1993, nacque la Plasmek. La stessa cosa avvenne l’anno dopo con Marco Passarani e la sua etichetta Nature. Conoscevo Marco solo di vista perché lavorava a Radio Centro Suono, un’emittente fondamentale in quegli anni per la diffusione della techno a Roma. Visti i progetti comuni ci conoscemmo meglio e ci trovammo subito d’accordo su molti punti. Venne quindi spontanea l’idea di unirci e creare un pool produttivo unico e da lì nacque Final Frontier (nel 1994). Inizialmente Final Frontier era anche una distribuzione legata a Remix. Poi, dopo alcuni anni di duro lavoro, abbiamo deciso di fermarci per dedicarci solo alla produzione. Ora tutto viene gestito direttamente da Marco che sta facendo un lavoro enorme e di grande ed indubbia qualità”

Finalmente, dopo anni trascorsi nell’underground più profondo, la scena electro romana sta emergendo a vista d’occhio oltre i nostri confini (Francisco, Passarani, Jolly Music, Raiders Of The Lost Arp, Max Durante solo per citarne qualcuno). Come mai questo fenomeno d’interesse giunge solo dai Paesi esteri visto che l’Italia continua ad essere fossilizzata sui soliti nomi ??
“E’ un dato di fatto che l’interesse generale sull’elettronica fuori dai nostri confini sia nettamente superiore al nostro. Comunque all’inizio non è stato facile imporci sul mercato estero. Verso la metà degli anni ’90 l’Italia era vista solo come la Terra della musica commerciale. Tutti erano molto diffidenti. Quando ci veniva a trovare qualche distributore straniero non credeva che potesse esserci così tanta musica-spazzatura. Credo che adesso abbiano capito la purezza di una scena che non è mai scesa a compromessi e quindi questo riconoscimento per noi ha un doppio valore. Riguardo l’Italia vorrei aggiungere che in ogni caso la situazione sta migliorando a vista d’occhio. Ovviamente decenni di atteggiamenti degli addetti ai lavori (dj, promoter, gestori di locali, produttori discografici) tendenti solo ai soldi più che alla musica non rendono affatto facile il cambiamento in modo veloce. Per questo io e Marco, nel 1994, avevamo deciso di spingere maggiormente sulla distribuzione. Importavamo anche etichette che non erano proprio al centro dei nostri gusti ma che comunque rappresentavano una netta svolta rispetto alla situazione musicale deprimente in cui vivevamo. Bisognava costruire, quasi da zero, una cultura elettronica in Italia e credo che in parte il nostro lavoro abbia contribuito anche ai miglioramenti odierni. Siamo stati i primi ad importare in esclusiva in Italia etichette come Kanzleramt, Playhouse, Perlon, Kompakt, Klang Elektronik e onestamente vedere adesso tanti dj famosi che dieci anni fa suonavano musica cosiddetta ‘progressive’, inserire nelle loro playlist dischi di questo tipo, mi fa soltanto sorridere. Chi mi conosce sa che sono un tipo che non cerca mai lo scontro e la polemica gratuita ma è anche vero che queste verità vanno raccontate. Noi servivamo vari negozi frequentati da dj famosi come Mario Più e molti altri e, parlando onestamente, a quei tempi questa musica non era certo in testa ai loro pensieri. Anche questo ha contribuito per anni alla fossilizzazione sui soliti nomi come (giustamente) dici tu. Io sono del parere che chi più ha potere, anche in senso figurato, ha più di altri il dovere di rischiare. Se i grandi non rischiano cercando nuovi linguaggi e nuove idee, inevitabilmente una scena muore o non si sviluppa a dovere. Comunque oltre al nostro lavoro, come quello di altri che da sempre cercano di creare una scena elettronica in Italia, uno dei fattori principali di questo cambiamento è che ora i ragazzi girano in tutto il mondo più di dieci/venti anni fa. Quando tornano dalla Germania, dall’Olanda o dall’Inghilterra si rendono conto dove viviamo e soprattutto di che musica ci propinano i dj più importanti. E’ per questo che i grandi nomi della progressive o della musica commerciale hanno gradatamente cambiato genere: si sono resi conto che non li seguiva più nessuno nella loro inutile rincorsa al disco che ti fa svoltare. Anche perché in genere si trattava di musica che raramente usciva dai nostri confini. All’estero non aveva futuro. Ora tutti sono techno o elettronici ma credo che la gente sappia cosa facevano prima. Il passato non si cancella in un attimo”

Ci sono artisti italiani che ti piacciono in maniera particolare ?? Perchè ??
“Non vorrei sembrare campanilista ma mi piacciono quasi tutti gli artisti di Roma. Credo che proprio perché Roma sia sempre stata fuori dal giro dei grandi clubs e dei grandi promoter (tipo Emilia Romagna o Veneto) abbia favorito la nascita di un linguaggio musicale piuttosto incontaminato ed originale che mi appartiene e che amo. Fuori da Roma mi piacciono i Retina.it e Random Noyze di Napoli e Bochum Welt. I primi sono i migliori nel far convivere suoni digitali e groove. I secondi per le stesse motivazioni dei Retina.it ma nel campo della techno mentre Bochum Welt è semplicemente un musicista che scrive bellissime song elettroniche”

Guardando il panorama estero invece, quali artisti-dj-labels segnaleresti ??
“Non sono molti gli artisti che riescono a mantenere il loro livello qualitativo costante per cui magari ci sono alcuni che fanno delle produzioni interessanti e poi scompaiono. Fra quelli che seguo con più costanza direi Keith ‘K-1’ Tucker, Underground Resistance, Carl Finlow, The Advent, Dexter e Dopplereffekt. Invece, fra le etichette straniere, segnalo su tutte UR, Clone, Electrofunk, Puzzlebox, Skam, Trust, Southern Outpost, Ai records, SCSI-AV ed Electrix”

Plasmek manca dalla scena da parecchio: quando e con quali novità tornerà ??
“Il motivo principale è che sono molto lento nella produzione. Anche Marco se ne è fatto una ragione … Poi sono diventato papà da poco ed è stata una mezza rivoluzione. Una bella rivoluzione ma pur sempre impegnativa !! In ogni caso ho molto materiale pronto e qualche progetto con artisti stranieri che sto trattando. Non ho ancora un piano preciso perché sto lavorando su vari progetti. Per ora posso solo dirti che uscirà un mio 12″ su Final Frontier, l’etichetta che abbiamo con la Submerge di Detroit. Il primo 12″ è stato di Marco Passarani (Analog Fingerprints) ed è andato molto bene. Presto uscirà un 12″ di Mario Pierro (Raiders Of the Lost Arp) con un remix di UR e poi seguiremo io e Francesco De Bellis (alias Francisco e Mr. Cisco)”

Quali credi che saranno le prossime evoluzioni della dance elettronica ?? Ormai tutti parlano di electro-house ma ritengo che il fenomeno si stia saturando in fretta …
“Electro-house è un termine come un altro. I generi cardine sono i soliti: electro, house e techno. Gli altri sono derivazioni ormai talmente labili che è davvero difficile stabilire delle distinzioni nette. Proprio per questo io dò molta importanza alle song più che agli stili. Se mi piace un brano non vedo molto lo stile. Questo vale ovviamente anche per le cose che mi piacciono (se sento un brano electro o techno non mi sento in dovere di giudicarlo per forza bene). Comunque credo che per rispondere alla tua domanda bisogna soprattutto chiedersi quale sia la vera dance elettronica. Io credo che se analizziamo i generi cardine che ti ho detto prima (electro, house e techno), ci rendiamo conto che l’electro e l’house hanno delle indicazioni ritmiche ben precise: la prima è sincopata, la seconda con la cassa in quattro e l’hi-hat in levare. Seppure con alcune variazioni, la connotazione principale di questi due generi è quella ritmica. Nella techno invece l’elemento caratterizzante era l’annullamento della classica forma canzone. I brani techno di Derrick May, degli UR o di Juan Atkins sono molto incentrati su vari layer che si sommano. A parte le prime cose di Atkins a firma Model 500, il concetto di song viene scardinato, cosa che invece avviene di meno sia nell’electro che nell’house. Non è un caso che puoi fare un remix electro o house di un brano pop, cambiandone la sola ritmica, mentre non ne puoi fare un remix techno, se non banalizzando il concetto di techno e quindi indurendo generalmente le sonorità ritmiche e impoverendo la struttura melodica. Questa chiave di lettura della techno è assolutamente errata soprattutto se si ascoltano le prime produzioni di artisti come Undergorund Resistance, Derrick May, Jeff Mills ecc. Credo però che questo genere, nella sua possibilità di innovazione assoluta e infinita, sia comunque limitata. E che tale debba restare. Un artista techno può collaborare con musicisti veri come parte di un gruppo (vedi Carl Craig ed il suo progetto Detroit Experiment) ma unire troppo elementi classici della musica con la techno può scadere nel kitsch. Questo errore lo hanno fatto anche artisti importanti come Kenny Larkin, Los Hermanos, Laurent Garnier ed altri. Secondo me l’evoluzione della musica dance elettronica è quella di seguire le linee guida della techno originaria senza essere troppo “musicali” in senso lato ma senza scadere nell’eccessivo minimalismo di artisti come Villalobos e Hawtin che estremizzando troppo questo concetto dimostrano più che altro poche idee. Per me il minimalismo può essere al massimo Robert Hood e Jeff Mills, i veri padri di questo stile”

Il mercato musicale è in crisi: credi che il vinile continuerà ad esistere oppure lascerà definitivamente il posto al più moderno cd ??
“Finora il vinile non ha mai perso mercato almeno nel nostro settore. Anzi. c’è stato un incremento con la riscoperta del 7″, il vecchio 45 giri. Più che il cd, credo che il vinile debba temere sistemi come il Final Scratch. In ogni caso, personalmente mi piace avere un approccio fisico con il missaggio per cui anche i giradischi ed il vinile restano il massimo anche se una tecnologia come Final Scratch non mi dispiace perché riesce a mantenere la fisicità e l’interazione nel missaggio (che io amo) oltre ad aprire scenari pressoché infiniti sulla musica da suonare (tracce proprie in anteprima, loop creati dal dj, edit)”

Credi che fondare oggi una etichetta discografica come Plasmek possa portare buoni risultati ?? A detta di molti, il mercato discografico del futuro sarà fatto solo ed esclusivamente di file mp3 acquistabili attraverso le net-labels.
“Sicuramente c’è stata una flessione di vendite dovuta ai sistemi di file-sharing. E’ indubbio e sarebbe ipocrita non dirlo. Il futuro delle net-labels può essere interessante nella misura in cui verranno migliorate le metodologie di pagamento dei brani da scaricare. Non vorrei infatti che la gente dimenticasse che le etichette del nostro settore non sono majors come la Sony in cui la musica è una branchia di una società più grande che vende di tutto. Le nostre etichette vivono vendendo la loro musica e basta per cui scaricare musica senza pagare i brani è impensabile. Accettare questo significherebbe pensare alla musica come un affare per ricchi, gente che si può permettere di gestire un sito, comprare strumenti e affittare o gestire uno studio senza avere alcun rientro economico. Per cui se diventasse sempre più semplice e sicuro effettuare transazioni via internet, io sarei anche per le net labels. In questo caso, secondo me, una tecnologia tipo Final Scratch sarebbe lo strumento ideale per suonare gli mp3 o i .wav scaricati”

Coi moderni software in commercio, anche i giovanissimi riescono a divenire ‘produttori musicali’. Credi che i software abbiano facilitato ed allargato la schiera dei produttori ??
“Sicuramente. Io ho sempre appoggiato lo sviluppo tecnologico applicato alla musica. Credo che la musica sia un linguaggio estremamente potente ed affascinante per cui credo che il fatto che oggi molta più gente possa fare musica sia assolutamente positivo. Qualche anno fa con Alessio Arcadi, Marco Passarani ed Eugenio Vatta, abbiamo strutturato un corso/laboratorio nelle scuole della provincia di Roma che si chiamava Musical Waves. Io, Marco ed Eugenio eravamo i docenti, mentre Alessio con l’Associazione Culturale Diogene, ha realizzato il tutto con la provincia di Roma ed il Provveditorato agli Studi. E’ stata una grande sfida perché avevamo di fronte anche persone estremamente prevenute verso la musica elettronica però alla fine è stato un bel successo ed anche i più scettici hanno capito che gli strumenti elettronici o i software musicali possono essere un grande aiuto per realizzare musica anche con ottimi risultati di qualità sonora. Tutto questo era impensabile fino a dieci anni fa. Per fare un disco dovevi avere un produttore che ti pagasse uno studio o avere uno studio molto attrezzato (e quindi costoso). Ora anche solo con un computer puoi fare ottime cose, sia dal punto di vista della registrazione che dell’editing. Inoltre a livello compositivo puoi contare su un numero incredibile di software e synth virtuali. Credo che in questo momento tutti abbiamo, più o meno, gli stessi mezzi: magari i grandi nomi del pop ne hanno di più ma la differenza non è così abissale come sembra. Per cui quello che conta ora è la musica in sé. In una situazione di questo tipo è evidente che si è creata una mole di produzioni impressionante in mezzo alla quale è difficile districarsi. In questi casi è fondamentale la figura del produttore discografico che deve saper scremare le cose inutili e cercare di fare uscire solo il meglio. Persone di questo tipo possono essere molto utili alla crescita dei giovani produttori musicali”

Quando sei in studio preferisci adoperare gli strumenti hardware o i più pratici (ed economici) software ??
“Il mio studio è ormai totalmente digitale. E’ ciò che finora ho trovato migliore per la mia musica. Credo comunque che tornerò ad integrare il mio pc con strumenti esterni come una volta per poter creare quello spirito di improvvisazione che mi piace inserire quando faccio il mixdown finale”

Siamo alla fine: lascia un messaggio agli amici di Technodisco.
“L’Italia è uno di quei Paesi dove i genitori sentono più o meno la stessa musica dei loro figli (Ramazzotti, Pausini, ecc.). Siate coscienti che stiamo vivendo un periodo storico di eccezionali cambiamenti e possibilità. La musica elettronica è la nuova musica popolare o perlomeno la musica pop del futuro non può non considerare nella sua realizzazione gli insegnamenti della musica elettronica, vecchia e nuova. Per cui non accontentatevi di quello che sentite per radio e cercate sempre nuova musica. E soprattutto supportatela comprando i cd o i vinili degli artisti e delle etichette che vi piacciono. E’ il modo migliore per far continuare questa rivoluzione anche nel nostro Paese. Andrea Benedetti”

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